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Location / La valle D’Ansanto



Le edizioni 2005, 2006 e 2009 di Terra Arte hanno avuto come scenario il bosco del Felitto (Villamaina, Av), situato nella valle D’Ansanto.

Nota fin dall’antichità per le sue esalazioni mortifere e cantata da Virgilio come accesso all'oltretomba (Eneide VII 563-570), scenario del ratto di Proserpina in Claudiano (V sec. d.C.), la valle D’Ansanto è definita “ombelico d’Italia” dal grammatico Servio (IV-V sec. d.C.).

Il sito vanta una notoria rilevanza storica e archeologica, attestata dall’interesse mai sopito che esso esercita sugli studiosi, continuatori dell’opera avviata dall’irpino Vincenzo Maria Santoli con il suo De Mephiti.

La valle che racchiude la sorgente solforosa della Mefite fu infatti sede di importante santuario italico, attivo verosimilmente già nel VI sec. a.C., la cui attività è documentata da cospicue testimonianze archeologiche. Il santuario era dedicato alla dea Mefite, il cui culto, ampiamente diffuso presso le genti italiche e originariamente connesso alle proprietà benefiche delle acque sorgive (palese indizio dell’originario carattere agreste e pastorale del culto risulta l’epiteto aravini, riferito alla dea in un’epigrafe del II sec. a.C. venuta alla luce dalla stipe votiva del santuario d’Ansanto), sembra aver assunto in seguito, per effetto della romanizzazione, i caratteri catactoni e infernali a cui alludono le fonti latine.

La valle d’Ansanto, un tempo locus … nobilis et fama multis memoratus in oris “luogo nobile e ricordato per fama in molte contrade” (Virgilio, Eneide VII 563 s.), oggi trascorre la sua esistenza in una profonda solitudine, spezzata di tanto in tanto dalla visita di storici, di archeologi o di semplici curiosi, ma le sue acque sono incessantemente in moto, a segnare il filo teso tra presente, passato e futuro.


La valle D’Ansanto nei versi di Virgilio (Eneide VII 563-570)

Est locus Italiae medio sub montibus altis,
nobilis et fama multis memoratus in oris,
Amsancti valles; densis hunc frondibus atrum
urget utrimque latus memoris, medioque fragosus
dat sonitum saxis et torto vertice torrens.
Hic specus horrendum et saevi spiracula Ditis
monstrantur, ruptoque ingens Acheronte vorago
pestiferas aperit fauces…

V’è un luogo in mezzo all’Italia, sotto alti monti,
nobile e ricordato per fama in molte contrade,
la valle dell’Ampsanto; oscuro di dense fronde lo serra
da ambedue le parti il fianco d’un bosco, e nel mezzo
un torrente strepita fragoroso tra i sassi e il risucchio dei gorghi.
Qui si mostrano un’orrenda spelonca e gli spiragli
del crudele Dite, e una vasta voragine,
dove si spalanca l’ingresso ad Acheronte,
apre fauci pestifere…

(traduz. di Luca Canali, Milano, Mondadori 1981)



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